3830 recensioni a vostra disposizione!
   
 
 

EMPORTE - MOI Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 marzo 2000
 
di Lea Pool, con Karine Vanasse, Alexandre Mérineau, Pascale Bussières (Canada, 1999)
 
Recentemente laureato a Soletta con il Premio del Cinema svizzero (precedendo un'opera del calibro di BERESINA) l'ultimo film della regista Lea Pool, nata e cresciuta a Ginevra ma poi formatasi alle scuole ed atmosfere del Quebec dimostra, qualora ancora occorresse. quanto tutto nel cinema sia questione di scrittura. Scrivi, dapprima sulla carta, quindi per interposta cinepresa badando, più che ad aggiungere a sottrarre (la grande lezione di Bresson...): poi, con il corollario di una decina di altre bazzecole come la scelta e la direzione degli attori, il montaggio e compagnia la tua storia finirà per stare in piedi. Per semplice che sia. Come questa di EMPORTE - MOI; che proprio inedita o imprevedibile, nel suo tema e nel suo modo di svilupparsi drammaticamente non lo è.

Si tratta infatti del passaggio al mondo degli adulti del musino di Hanna: l'esordiente canadese Karine Vanasse, primo buon affare nella scelta fra gli imperativi ingredienti di cui si andava dicendo. La quale, come non bastassero le tradizionali tribolazioni del caso, si ritrova affibbiata di un padre (Miki Manojlovic, l'attore prediletto di Kusturica) di origine ebrea ed apolide, teoricamente scrittore di tendenza poeta ma in effetti giocatore di scacchi al bar; autoritario quando gli fa comodo altrimenti piuttosto mollaccione e per di più un filo incestuoso, una madre sposata troppo giovane che fatica tragicamente a colpi di tranquillanti per tirare innanzi la baracca. Ed un fratellastro, finalmente simpatico e generoso; ma pure lui, nel casino famigliare ed adolescenziale che si ritrova, non proprio lucidissimo nel districarsi fra le ambiguità sessuali nelle quali pasticciano più o meno allegramente la sorella e le ragazzine che le stanno attorno.

In tanta assenza di modelli, alla nostra Hanna non rimane allora, come accade in un numero forse eccessivo di pellicole del dopoguerra che andarsene al cinema. E godersi l'Anna Karina di VIVRE SA VIE, eroina indimenticata di uno dei Godard meno arrampicati sui muri che si ricordi: quella che, ricorderete, s'identificava a sua volta alla mitica Falconetti della GIOVANNA D'ARCO di Dreyer. "Si è sempre responsabili di ciò che si fa. Ed io sono responsabile", sillaba Hanna, imitando l'Anna dello schermo. Che, dopo il fatidico "Allora, me lo offri un bicchiere?" ballava, fumava e faceva l'amore. A pagamento.

Hanna sembra aver trovato la propria strada. Ma se per la nostra carina il condizionale s'impone, per il film la certezza è d'obbligo: la strada la sta perdendo. Perché tutto era chiaro e netto, fin dall'inizio: nitide quelle figure disegnate al pastello, delicate e significative quelle situazioni esistenziali. Allusiva ma poetica la metafora di quei corpi di adolescenti filmati sott'acqua: nell'esitazione fra l'abbandono sensuale ad una vita tutta da scoprire e la pulsione verso il buco nero, che un'esistenza zeppa di ostacoli psicologici e materiali sembra rendere morbosamente appetibile.

Poi, non è che tutto si complichi: ma che si ripete ed accumula. Hanna al cinema di Godard ci va almeno quattro volte; inevitabilmente, ogni volta la magia diminuisce. Hanna cerca di consolare ed essere amata da quella poverina di sua madre: ad ogni incontro più o meno identico le commozione ci appare sempre più insufficiente per entrare nello strazio di quelle due ermetiche solitudini. Hanna esita fra l'amichetto e l'amichetta, la ricerca del padre e quella altrettanto ambigua della maestra di scuola (la brava Nancy Huston, co-scenarista del film): va tutto bene, ma ad ogni colpo la nostra tenera e divertita comprensione arrischia di mutarsi in forse ingenerosa impazienza.

Per fortuna del film, questo si conclude su un'idea di cinema che - e non è un miracolo - fa coincidere la ritrovata giustezza della scrittura con quella dei significati: tutto è rivisto attraverso l'occhio ancora esitante e maldestro della prima cinepresa che Hanna si ritrova fra le mani. Allora, quasi per incanto, il tatto, la grazia, l'attenzione dello sguardo di un film al quale è impossibile non aderire torna a riaffermare i propri diritti.


   Il film in Internet (Google)

Per informazioni o commenti: info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch

 
 
Elenco in ordine


Ricerca






capolavoro


da vedere assolutamente


da vedere


da vedere eventualmente


da evitare

© Copyright Fabio Fumagalli 2024 
P NON DEFINITO  Modifica la scheda